Lo scorso mese di novembre, durante una delle mie “pericolose” incursioni in libreria (a Roma ne stanno chiudendo tante), la mia attenzione è stata subito catturata da un titolo, Il botanista, edito da Corbaccio nel mese di settembre 2019. Il libro, scritto da Marc Jeanson e Charlotte Fauve con il titolo originale francese Botaniste, è uscito in Francia per le edizioni Grasset & Fasquelle . Il sottotitolo dell’edizione italiana recita: “Il racconto di uno scienziato sognatore, custode della ricchezza vegetale della Terra”. Custode, in quanto Marc Jeanson è attualmente il giovane Responsabile dell’Erbario del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi. Il libro racconta inizialmente il percorso personale e professionale che ha portato Marc Jeanson a studiare la botanica, a conseguire un dottorato di ricerca sulle palme del genere Caryota e ad ottenere l’importante incarico presso l’Erbario parigino. Ma sulla sua storia si innestano quelle di tutti i botanici e naturalisti che nel corso di tre secoli e mezzo hanno dato vita al famoso Herbier. Vite dedicate alla raccolta ed alla classificazione delle piante. Classificazioni che nel corso dei secoli sono state di volta in volta messe in discussione e sconvolte da nuove sistematiche e nuove scoperte scientifiche, fino ad arrivare ad APG 3.
Ciò che gli autori vogliono far emergere, tra l’altro, con questa loro opera è il valore ancora insostituibile degli erbari.
Vi cito un passaggio significativo: “Negli anni 1990-2000, alcuni specialisti incitavano più ad eliminare che a conservare. … Nella comunità botanica i più estremisti si chiedevano se non bisognasse conservare soltanto i «tipi», il 3-5% di campioni di riferimento che esistono oggi per ciascuna delle specie descritte sul pianeta. … Fortunatamente l’idea venne accantonata: dieci anni dopo l’Herbier sarebbe diventato la risorsa indispensabile per documentare il nostro impatto sulla Terra. Da tre secoli e mezzo, l’Herbier ha conservato tutto. Le specie, i raccoglitori, ma anche le date ed i luoghi di raccolta. Conservando i campioni più banali e le loro ripetizioni, abbiamo evitato la rottura di un filo temporale tessuto lungo le raccolte, il solo in grado di documentare in modo affidabile gli sconvolgimenti delle flore, dei paesaggi. Sulla superficie terreste, i confini delle masse vegetali si muovono, messi in difficoltà dall’urbanizzazione, dallo sfruttamento eccessivo dei terreni per il pascolo, dalla deforestazione. Se conosciamo precisamente gli itinerari degli scienziati e le raccolte effettuate lungo i loro percorsi, possiamo disegnare con altrettanta precisione i contorni delgi ecosistemi, e registrarne le alterazioni”.
Vi ho citato questo passaggio perché, leggendolo, mi è venuto subito in mente l’Archivio floristico di Acta Plantarum, l’enorme lavoro che c’è dietro ed il valore documentale e testimoniale che questo acquisirà nel tempo. È vero, le piante rappresentate nelle fotografie non si possono toccare ed annusare, non se ne può percorrere la superficie con le dita, apprezzarne la loro setosità o villosità, ma con un po’ di applicazione si possono rappresentare tutti i loro organi con immagini tridimensionali molto vicine alla realtà. Si possono tramandare nel tempo forme e colori che una pianta essiccata non riesce quasi mai a rendere.
Che si tratti di erbari od archivi fotografici, la sfida è sempre la stessa, quella di sopravvivere all’inesorabile passare del tempo. Dal libro di Jeanson e Fauve apprendiamo che l’Herbier ha subito nei secoli profonde trasformazioni e traumatici traslochi, ma è ancora lì, a Parigi, a custodire migliaia di piante ed a riceverne ogni anno di nuove, spesso ancora da descrivere e classificare.
Un’ultima osservazione. “Botanista” in italiano è un sostantivo davvero poco usato e deriva proprio dal francese botaniste, ossia botanico, inteso come studioso della botanica. Credo sia stata una scelta editoriale quella di usare questa parola, forse in onore della lingua degli autori.
In ogni caso, una lettura appassionante, per … botanisti e botanici.
da Gianleonardo
Il botanista
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